Non sono un’artista: sono una donna che vive e parla anche attraverso l’arte
Il linguaggio visivo umano nasce e si manifesta nella preistoria, l’originale è l’idea, il pensiero che l’individuo esplica attraverso l’arte.
Un’arte che non si discosta dalle forme della natura, di cui l’uomo era elemento filiale, non centrale, né tantomeno padrone.
Ecco, che la storia dell’arte paleolitica, dà un enorme contributo al mio essere una pittrice, allacciata alla forte identità femminile; risplende come culto religioso, quello delle Dee Madri, per oltre 40000 anni, nelle terre di ogni parte del mondo, la donna, legata alla Terra con le figure animali, con le fasi lunari, con la ciclicità delle stagioni e come forza ctonia della natura.
Dopo il periodo cretese le cose sono cambiate, ma questo ha portato la donna a fare e dare il suo enorme contributo in ogni materia, non sono molte le testimonianze e le documentazioni a riguardo, ma sono fatti che esistono e vanno dissotterrati dall’oblio.
Ricercare tra le avanguardie artistiche del ‘900, le figure femminili, è solo l’inizio di un lavoro che conduce all’oggi, nel contemporaneo, dove l’arte delle donne non risente di censura, ed è un riconoscimento ulteriore e rinnovato a ciò che sono qui ed ora: DONNA.
Confrontare il lavoro di vari artisti è stato interessante e soprattutto, l’analisi delle avanguardie del primo Novecento e quello di alcune artiste contemporanee, hanno dato il contributo maggiore per la realizzazione dei miei lavori.
Il volto reale dei miei dipinti è il sogno, quella porzione della realtà, che vive parallelamente ad essa nell’inconscio individuale.
Un intreccio derivato da esperienze e desideri, quindi un incontro, un farsi avanti della psiche, in modo spontaneo e diretto.
Non amo gli ismi, essi racchiudono e mettono nel recinto l’individualità universale che rende ogni cosa, unica e preziosa.
I miei sogni non sono i miei incubi o le mie fobie, nascono dalla vita quotidiana spesso costellata di belle esperienze e a volte violata e violentata dall’ignoranza, che a volte ho supportato con il non credere in me.
Fin da bambina nei miei sogni erano presenti anche accadimenti politici che vivevo, ricordo bene il disegno di un sogno della mia infanzia, esso mi ritraeva di spalle su un fiore di giglio e in lontananza sopra il vulcano Etna, c’erano i volti luminosi di Falcone e Borsellino, era il 1992.
Poco più tardi, rivedo in sogno l’inganno di Agamennone e l’orrore della mano violenta e folle dell’uomo, lì “vomito” e così m’appare impregnato di una simbologia della rinascita, ho avuto già tre vite, di nuova genesi o rigenerazione, della mia identità di donna, madre, sognatrice, pittrice, che per quanto soppressa, ritorna nel presente e ci rimane luminosamente.
Dunque l’analisi del percorso artistico nasce dall’idea di denunciare la stupidità umana e contrapporre in ogni tela, la manifestazione del sopravvivere, nudi, a ciò che ci circonda, così come si è, nella bellezza e nella bruttezza della vita.
Attenta a ciò che è la metamorfosi delle situazioni nel mondo intero, l’elemento comune alla pittura surreale degli anni ‘30 è la ricerca di un equilibrio tra la sfera razionale della realtà e l’immediatezza del lavoro onirico, quale elemento più che personale.
Dipingere ciò che sogno mi dà la possibilità di enunciare, come il mio inconscio vede senza filtri la situazione degli esseri umani e non, immersi nell’oscurità ma allo stesso tempo artefici di risalite verso la luce della dignità e del rispetto.
Donna che dipinge e non un’artista, perché cerco di soddisfare me stessa per primo e poi gi altri, e la parola d’ordine in ogni opera è “lavoro” che in giapponese significa: qualcosa di utile per gli altri.
Quindi il mio lavoro passa attraverso il sogno e la memoria, con la propensione ad andare oltre ciò che era e ciò che oggi significa nascere Donna.
Femmina, nella sua accezione migliore, un essere umano che solo fisicamente è differente dal suo opposto, ma che nelle vicissitudini della vita e nei moti della psiche rimane identico.
Madre, figlia, sorella, orgogliosa di esserlo, come un fiore che non smette mai di sbocciare sul suo stelo, che si piega ma non si spezza, che ad ogni divenire delle stagioni rinasce e si matura, si trasforma, in un ciclo infinito e naturale.
Attraverso l’arte, posso esprimere interamente e concretamente la mia libertà, una libertà assoluta, nel mio lavoro, di evadere dalle norme apparentemente utili, che qualcun’altro ha messo, il sistema dell’arte è per me una gabbia in cui non riuscirei a starci dentro.
Il mio lavoro artistico è pura identità fluida che si staglia nella mente, nel cuore e poi sulle mani.
Solo così riesco a soddisfare ciò che Walter Benjamin definirebbe “Aurea”, essa è unica e irriproducibile perché non ci sono limiti alla sua esplicazione, la mia Arte non ha vincoli, né referenti.
Con tutta la mia riverenza, rivendico la frase di Bréton: “Non sarà la paura della pazzia a farci lasciare a mezz’asta la bandiera dell’immaginazione”, frase conclusiva di una analisi riguardante i “pazzi”, quelli internati, che apprezzano abbastanza il loro delirio per sopportare che sia valido soltanto per loro, ed in effetti, le allucinazioni, le illusioni, sono una fonte non trascurabile di godimenti, questo direi che è un aspetto più che contemporaneo.
Esso è anche poco consapevolizzato, nella grande maggioranza delle persone, che vive per lo più, in un tempo non presente e in vite che sono più che deliranti, ma sono fuori tra noi e sono gli artefici in parte, della società odierna.
La visione della mia arte è assolutamente quella che è, non è nient’altro di ciò che si vede, perché non necessito neanche di dare spiegazione al perché dipingo donne o soggetti irreali, fanno parte dei miei giochi onirici o diurni, come l’acqua sta al suo mare, è parte di me e quindi È.
Nonostante il mio percorso poco accademico e molto autodidatta, la mia poetica riguarda il non oscurare mai ciò che l’essere donna e madre comporta oggi nel ventunesimo secolo, il tema cardine è il sogno, il culto matriarcale, la memoria, l’essenzialità delle cose, dei gesti e delle idee.
Essere e rivelarsi così come siamo è molto più semplice e umano; adotto un linguaggio a volte duro nei lavori artistici, perché comunque prendo spunto come nel sogno, dai fatti quotidiani che vivo e percepisco.
Le impressioni lasciano spazio alle emozioni e poi nasce il resto, che può essere un dipinto, una scultura, un’installazione, uno scritto, un buon piatto cucinato, o una posizione particolare per un oggetto, una comunicazione con chi mi circonda o con l’ambiente, un respiro di piena autonomia di pensiero e di libertà espressiva.
Non sono un’artista. Non voglio essere un’artista.
Io sono una donna che ha avuto ed ha, la fortuna e la possibilità di completare il mio Essere, qui ed ora, anche attraverso il linguaggio artistico.
“Non sono un’artista ma una donna che vive e parla anche attraverso l’arte”, ci tengo a questo, perché nel momento in cui si fa un lavoro culturale, non ci si può o deve, distaccare dalla sua funzione politica e di trasformazione sociale, ognuno nel suo campo, può farlo e tanto più coloro che hanno visibilità nella società contemporanea.
Le rivoluzioni nascono dal basso è vero, prima comunque nascono dentro se stessi.
Nel momento in cui attraverso una mostra dedicata a tutte le figure femminili del Ventesimo secolo del mondo dell’arte, il fuoco, è sul linguaggio che ognuna di loro utilizza e ancor di più gli scenari di cui l’opera è parte, spazi e suoni che sono l’opera, soggetti ed oggetti che sono l’opera.
Sentendomi affascinata da questo mondo, il mondo dell’arte, perché non sentirmi artista?
Faccio arte perché lo trovo magnifico, semplicemente magnifico.
C’è una libertà palpabile, odorabile, gustabile, la sento, la vivo e ne sono soddisfatta, il lavorare un’opera, è la realizzazione di un flusso che è lì per essere esternato, senza forzature, senza tempi, senza spazi, nella mia visione, ovunque è arte.
Arte è, per me, amore per ogni cosa che faccio.